Tra l’emergenza sanitaria e quella economica, istituzioni, media e aziende dimenticano che la partita decisiva si gioca al tavolo dell’emergenza umana, perché dal punto di vista sociale e psicologico non siamo nè consapevoli nè attrezzati.
Uno degli effetti della pandemia e delle rigorose misure, tese a contenere la propagazione del virus, è la solitudine, la più dolorosa è quella delle persone malate, sofferenti, dentro una sala di terapia intensiva, dentro una RSA senza la possibilità di vedere i congiunti o dentro un letto di ospedale a lottare con un cancro e gli è chiesto di lottare anche con questo senso di vuoto. Senza dimenticare la storia triste e terribile, di chi ha perso la vita ai tempi del coronavirus.
La solitudine felice è quella per scelta, consapevole e per questo mai subita. La solitudine sofferta invece è la solitudine non voluta. È quella che distrugge l’animo e fa nascere anche risposte patologiche.
Colpisce la debole attenzione dimostrata, da chi è preposto a garantire il benessere e la formazione dei nostri bambini e dei giovani, la categoria che, dopo i malati ed il personale sanitario, più ha sofferto e sta soffrendo del clima di preoccupazione nel quale ci si trova a vivere e soprattutto del regime di isolamento, nel non potere seguire le lezioni a scuola, non poter giocare con i coetanei, non poter abbracciare i nonni. Secondo, un sondaggio del “Sole 24 Ore”, il 55% degli italiani soffre di solitudine, disagio sempre più forte tra i giovani tra 18 e 34 anni dove si riscontra la quota più alta del 32%.
Ad alimentare il senso di solitudine anche la confusione di informazioni che riceviamo tutti i giorni, a tutte le ore, la maggior parte drammatiche, che alimentano le emozioni angoscianti che proviamo. Un atteggiamento sano e protettivo è quello di limitarsi ad ascoltare le informazioni provenienti da una o due fonti autorevoli, selezionando una fascia oraria di mezzora in cui concentrare la raccolta delle notizie, così come si rivela utile seguire esclusivamente quei social che divulgano messaggi di sostegno, carichi di sana positività, di prospettive rassicuranti (non illusorie). Fondamentali sono poi, le relazioni sociali, il sentirsi in con-tatto con l'altro attraverso il tono della voce, lo sguardo, il sorriso, concorrono a farci stare bene da un punto di vista biologico, sevono a rafforzare il nostro sitema immunitario, per questo è meglio comunicare attraverso video chiamate o, non potendo, attraverso messaggi vocali, anziché messaggi sul cellulare, le mail o i social network.
Dal punto di vista psicologico, proiettiamoci verso un futuro immaginario, apprezziamo anche il solo respirare, considerato che a molti il Coronavirus ha rubato perfino il respiro, e acquisiamo consapevolezza che quando respiriamo condividiamo la stessa aria con le persone amate. Non dimentichiamo inoltre, di chiedere aiuto agli esperti, anche via internet, senza vergognarsi della difficoltà emotiva, di dire: “ho paura”, “sto male”, per non rischiare che la sofferenza prenda il sopravvento, fino a diventare un disturbo psicologico, come la depressione e gli stati di ansia.
Ricordiamoci che chiedere aiuto non è mai un segno di debolezza quanto, piuttosto, un atto di responsabilità.
E se nel dopo-pandemia vi è una sola certezza da raccogliere: si vive autenticamente solo insieme agli altri, il compito che ci aspetta nei prossimi anni sarà ricostruire l’Italia, anche da un punto di vista psicologico: tutelando e facendo crescere le risorse umane.
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